B come “bellezza”

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Potrebbe stupire il fatto che nella lingua in cui è stata scritta una buona parte della Bibbia, l’ebraico, non esista un termine preciso che indichi la bellezza estetica, quella cioè immediatamente percepibile. Ciò non significa che la Bibbia ignori il bello. Fa capire però che l’attenzione è posta più sulla bontà delle persone, delle azioni e delle cose che sul loro aspetto esteriore. Come è scritto nel Primo libro di Samuele: «…io non guardo ciò che guarda l’uomo. L’uomo guarda l’apparenza, il Signore guarda il cuore.» (16,7)

Per esprimere questa bellezza prevalentemente interiore la Scrittura si serve spesso di un termine, tob, che fondamentalmente significa buono, bene, ma che a seconda del contesto si può tradurre anche con tanti altri aggettivi come piacevole, soddisfacente, profumato, proporzionato, benevolo, lieto, valoroso, vero, ecc.

Nella Bibbia si avverte il gusto della bellezza per esempio nei racconti che esaltano la bellezza di Davide, di Mosè, di Giuditta e di altri ancora, ma non ne viene fatto un assoluto, forse proprio per invitare ed educare coloro che leggono ad andare oltre l’effimero e cercare la fonte stessa della bellezza. Vi si trova infatti questo invito di intuire la bellezza e la bontà del Creatore guardando la bellezza e la bontà delle creature. Agli occhi del credente ogni cosa è bella perché segnata dall’impronta di Dio, come dice il canto popolare: “ogni cosa porta in sé il sigillo del tuo amore”. La Bibbia ci esorta, quindi, a ricercare e coltivare la bellezza interiore che affiora poi in gesti belli, ordinati, armoniosi, precisi e puntuali, ben sapendo che «la bellezza si trova non dove non c’è niente da aggiungere ma dove non c’è niente da togliere» (Pavel Evdokimov).

p. Jonathan

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