E come “esodo”

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Con questo nome conosciamo il libro che racconta l’evento che sta alla base dell’identità del popolo Ebraico: la liberazione dalla schiavitù in Egitto.

Ne evidenziamo alcuni aspetti che possono essere nutrimento per la nostra fede.

Il Signore ascolta il grido degli oppressi. Israele si trova in una situazione di angoscia e di sofferenza e grida verso il cielo. Questo lamento sale al Signore che vede e ascolta e, non potendo più sopportare quella situazione, invia Mosè come strumento di liberazione.

La prima schiavitù da vincere è quella della chiusura che si manifesta come paura di gridare le nostre sofferenze e paure. Il Signore ci ascolta e manda sempre qualcuno perché ci faccia uscire dalle situazioni che ci rendono schiavi.  C’è sempre un Mosè nella nostra vita che ci indica una nuova strada.

Il Signore educa alla libertà. Dopo aver fatto uscire gli israeliti dall’Egitto il Signore dona loro i cosiddetti “comandamenti”, che sarebbe meglio chiamare “parole che orientano la vita”.

Può sembrare strano il fatto che un popolo appena nato alla libertà riceva subito una serie di norme da osservare. In realtà anche questo è un gesto di attenzione da parte del Signore. Egli sa che la libertà si può perdere di nuovo se non si ha un orientamento preciso. Si comprende così che i comandamenti non sono stati dati per limitare la libertà, ma per custodirla. Come quando una mamma “vieta” delle cose al suo bambino: sono parole nate dall’amore e mirano a proteggere il figlio.

L’uomo ha sempre un cuore ribelle. Infatti si lamenta e mormora contro Dio e contro Mosè.

Gli israeliti si mettono in cammino verso una terra che sarà la loro terra. Ma tra la partenza e l’arrivo c’è il deserto da affrontare. E si stancano. E pensano che sia meglio voltarsi e fare marcia indietro. Può capitare a tutti che, dopo essere usciti da una situazione che si pensava di malessere, ci si senta peggio e si voglia tornare indietro. La libertà è faticosa, i ripensamenti ci sono, e in quei momenti è bene richiamare alla memoria le motivazioni che ci hanno fatto fare quel passaggio, quell’esodo, per guardare al futuro con speranza.

Non è semplice distaccarsi dal nostro passato. Un maestro spirituale ebreo diceva che “È stato più facile per il Signore liberare gli Israeliti dall’Egitto che togliere l’Egitto dal cuore degli israeliti”. Ci dobbiamo fidare, dobbiamo credere alla bellezza della novità che ci attende. Ascoltiamo la provocazione di Isaia profeta: «non ricordate più le cose passate, non pensate più alle cose antiche! Ecco, io faccio una cosa nuova, proprio ora germoglia, non ve ne accorgete? Aprirò anche nel deserto una strada, immetterò fiumi nella steppa» (Is 43, 18-19)

Il Signore non smette di credere nel suo popolo. La fedeltà del Signore rimane in eterno. Egli porta a compimento le sue promesse nonostante la durezza del cuore delle persone. Ecco il messaggio centrale dell’Esodo: il Signore è paziente e misericordioso, lento all’ira e grande nell’amore (Cf. Es 34,6) perché sa di cosa siamo plasmati.

Insomma, questo racconto non è una semplice testimonianza del tempo passato, è soprattutto un memoriale che ci assicura che quell’evento può accadere ogni qualvolta si cade di nuovo schiavi. È, dunque, un invito rivolto ad ogni persona a puntare lo sguardo su ciò che Dio può fare nel nostro oggi.

p. Jonathan

Un commento su “E come “esodo””

  1. …accolgo l’invito. Punto lo sguardo su ciò che Dio può fare nel nostro oggi prendendo come comandamento la “nuova” parola che racchiude tutti i comandamenti… l’amare

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