Il deserto è affascinante nei suoi paesaggi, lunghe distese di sabbia con dune che assumono svariate forme date dalle correnti di vento che si diverte a modellare, il cielo terso il più delle volte, fenomeno che fa godere di uno spettacolo senza confronti quando arriva il buio e il cielo diventa come un manto scuro forato da milioni di raggi di luce.
Ma, come tante altre realtà in natura, il deserto ha delle ambiguità. Infatti è anche pericoloso, inospitale e quasi una negazione della vita.
Dal punto di vista della bibbia esso è portatore di una valenza fortemente spirituale: è il luogo della tentazione e della prova, però è anche il luogo privilegiato dell’incontro con Dio.
Come esiste un deserto geografico, bello e pericoloso, così c’è anche un deserto spirituale, altrettanto bello e pericoloso. Quando attraversiamo quest’ultimo avvertiamo quasi solo la fatica e il disagio. È difficile vivere nell’aridità, nella negazione della vita, a nessuno piace morire di sete interiore. Dobbiamo però ricordare che tutto questo è anche occasione di incontro con il Signore. Il nostro Dio ci viene a trovare nella nostra povertà e ci assicura che «il deserto fiorirà» perché Egli immetterà «fiumi nella steppa» per dissetare i nostri cuori.
C’è nel libro del profeta Osea un versetto che è una pietra preziosa: «Perciò, ecco, io la sedurrò, la condurrò nel deserto e parlerò al suo cuore» (Os 2,16). È il Signore che parla, che da innamorato del suo popolo lo vuole condurre nel deserto, nella solitudine e nel silenzio assoluti, per parlare al suo cuore.
È necessaria l’esperienza dell’arsura e dell’apparente sconfitta della vita nel deserto, è necessario il silenzio assoluto e un contesto di essenzialità per permettere al Signore di parlare al nostro cuore, cosa difficile nel trambusto della quotidianità. Perciò bisognerebbe crearsi un proprio “deserto nella città”, staccarsi ogni tanto da tutto per intrattenersi con il Signore. Forse alcune volte non sentiremo la sua presenza, allora bisogna ricordare che il Signore prima di manifestarsi come acqua si manifesta come sete. Come mancanza e desiderio di qualcosa di più grande di noi. E proprio quella mancanza diventerà per noi l’inizio di una presenza.
p. Jonathan